Da Mariangela Paradisi alcune riflessioni politiche sul mancato rispetto del piano d'area nel nuovo progetto Sacelit-Italcementi
Dio ci salvi dagli appuntamenti elettorali! Lungi dall’essere un momento di confronto in cui si tirano le somme sul benessere conquistato, non da pochi ma da tutti; sulla qualità della vita; potenzialità occupazionali per i giovani; stabilità economica; ambiente preservato; integrazione sociale; consolidamento delle attività economiche; diffusione della cultura (quella vera) e della informazione (quella vera), come sempre si stanno trasformando in affannose rincorse ad un: “di tutto, di più”. Ad un fare scomposto che non si sa bene dove conduca e quali vantaggi possa portare alla città futura.
Pochi giorni fa’, tre ex-assessori - Alfio Albani, Luigi Rebecchini e Francesco Stefanelli - hanno posto una questione solo in apparenza di “lana caprina”: il mancato rispetto del Piano d’Area, approvato a suo tempo dal Consiglio Comunale, da parte dei progettisti del nuovo quartiere “Sacelit-Italcementi”. Qual era il principio ispiratore di quel Piano? La consapevolezza che ogni decisione deve essere subordinata al benessere collettivo. Ciò vale sempre, ma soprattutto quando si ha a che fare con il consumo del territorio. Nel caso Sacelit, la piazza sul mare ad uso della popolazione e dei turisti e il parcheggio ad uso del centro storico e dei pendolari avrebbero costituito i vantaggi che compensavano il costo collettivo di cedere l’area al profitto privato.
Le regole della buona amministrazione stabiliscono che sempre debba essere definito, quantificato e difeso il beneficio che compensa il costo che la collettività sopporta cedendo ciò che le appartiene: cinque ettari in riva al mare (Sacelit); abitazioni, qualità della vita, fertili terreni agricoli (cosiddetta “complanare”, perché non lo è, e variante arceviese); frazioni di lungomare (ex-colonie Enel); vivibilità e terreni (terza corsia e nuovo casello autostradale); piazze cittadine ed edifici pubblici (Piano Cervellati); insperati, possibili “polmoni verdi” lungo la via più inquinata della città (ex-colonie dei ferrovieri).
E allora, mostrarsi capaci di difendere un Piano d’Area non è questione di lana caprina. Significa dimostrare di aver a cuore i problemi dei cittadini. Di “tutti” i cittadini. Né vale quanto afferma l’amministrazione (a proposito: perché parla la Sindaca e non l’assessore competente?) che, accettando di seppellire il Piano, dice, contrabbandandola per una conquista, di aver potuto spremere l’impresa di costruzioni portando gli oneri di urbanizzazione a 20milioni di euro. E invece raddoppiare gli oneri – del resto, puramente virtuali perché calcolati ai prezzi di listino e non di mercato - significa solo opere più costose, non necessariamente migliori: e infatti la nuova viabilità prevista è un insulto alla città. Significa costi aggiuntivi per l’impresa, prezzi ancora più alti per le abitazioni e dunque, come sempre, speculazione edilizia anziché residenze.
Amministratori, saper difendere un Piano d’Area vuol dire dimostrare coi fatti di saper governare una città. Vuol dire dimostrare di essere un’amministrazione capace di avere a cuore – che so - i problemi delle famiglie che vedono chiuse le scuole delle frazioni. Di avere a cuore i tragici problemi creati a (troppi) abitanti dalla (cosiddetta) complanare. Di saper bene che ai bei lampioni collocati lungo una curva nascosta del Misa devono far seguito lampioni, magari meno belli, collocati alla Cesanella per rendere meno buie le notti delle famiglie senigalliesi “di serie B”. Ma forse, anche se non ci salverà dagli appuntamenti elettorali, sotto elezioni il buon Dio farà comparire i lampioni come per miracolo.
da Mariangela Paradisi |