Fino a quando un dirigismo esasperato potrà reggere l’urto di una domanda sempre più diffusa di cambiamento nel modo di fare politica? Fino a quando la “voce del padrone” riuscirà a coprire la voce di chi vorrebbe ritrovare nelle parole dei politici la condivisione dei problemi di tutti i giorni e invece, al più, ritrova le solite litanie da campagna elettorale?
Il PD è il frutto di un progetto rivoluzionario che aspirava a un modello di governo dell’economia e società attento alle iniquità. Unico che poteva identificare un “sentire di sinistra”. Poi, la realtà. Si lancia un nuovo modello di partito che mostra tutto il suo appeal tra gli elettori, ma terrorizza la vecchia classe dirigente. Quella classe dirigente che da decenni considera la politica un lavoro da salvaguardare con ogni mezzo e, magari, trasmettere ai propri figli. Ed è la fine. I vecchi formicai sono distrutti e le formiche, in preda al panico, impazziscono.
Nel nostro piccolo senigalliese gli eventi lo dimostrano: come altrove, l’identità politica non c’è più.
Il Consiglio comunale - unico organismo che rappresenta gli elettori, non dimentichiamolo - ostaggio della giunta e del sindaco;
delibere arrogantemente imposte;
accelerazione spasmodica delle “pratiche” che stanno a cuore, anche a costo di forzature istituzionali;
Consiglio trasformato in un ring;
consiglieri di opposizione reclutati durante la pausa caffè per far tornare i conti;
cittadini abbandonati al loro destino di vessati da iniqui espropri, per non dire di quelli che - sempre più numerosi anche a Senigallia, come mostrano i dati della Caritas - vivono al di sotto della soglia di povertà o non riescono ad arrivare alla fine del mese;
problemi di “percezione della sicurezza” sottovalutati e, dunque, facile pascolo della Lega, la cui presenza è stigmatizzata quasi fosse un delitto e non il legittimo e democratico effetto dei comportamenti di chi amministra la città;
conflitto di interessi – lo stesso conflitto col quale si crocifigge Berlusconi – allegramente accettato, perché il potere non si molla;
primarie prontamente stoppate e concesse solo quando la vincita del candidato di partito è certa;
città e parchi svenduti alla speculazione, eccetera.
“In guerra e in amore tutto è permesso”, recita il detto. E la politica, ormai, per la classe dirigente che governa la città è diventata – ahimé – solo guerra, in mancanza di idee su cui fondare la ricerca di un rinnovato consenso (ben diverso dal “voto”). Comprensibile? Non nuovo, direi. Ma non condivisibile. Non da chi, ed è la maggioranza dei cittadini, vorrebbe una politica in grado di indicare vie certe per il futuro. Vorrebbe una politica che mostra di conoscere il mondo in cui i cittadini vivono e non solo il numero di buche nell’asfalto da rattoppare. Cittadini che chiedono di essere rappresentati da chi si offre con umiltà di farlo, non da chi sempre si adegua solo alle logiche di conservazione della specie. E non basta di certo la buona volontà di singoli “eroi ed eroine” che credono di poter cambiare l’andazzo “dall’interno”: la storia del PD dalle primarie del 2007 in poi, l’ha dimostrato. Fagocita tutto e tutti zittisce in nome della salvaguardia del potere e dello “spauracchio Berlusconi”.
Abbiamo ben cinque scelte, a Senigallia: Gazzetti, Luzi Crivellini, Mancini, Marcantoni, Marcellini. In fondo è semplice: dobbiamo solo capire chi di loro ci convince di più. L’importante è, a mio avviso, avere il coraggio di cambiare, spezzando il soffocante nodo delle consuete cordate che vivono la politica come “affar loro” e non come servizio - possibilmente umile, competente e informato - alla collettività.
Da Mariangela Paradisi |