Pubblicato venerdì, 04 ottobre 2013 12:11 - Letture Articolo 11951 - Condividi 
Il ruolo del poeta e la potenza della poesia: un omaggio ad Alberto Bevilacqua
Caro Direttore,
Alberto Bevilacqua in piazza Roma, a Senigalliamolte volte mi hai invitato a scrivere per il tuo giornale, ma ti ho sempre risposto che non avevo tempo. Ora non ne ho più di prima, ed è quasi mezzanotte; ma la notizia che hai pubblicata, per ricordare Alberto Bevilacqua mi impone di fermarmi.

Avevo saputo, un mesetto fa, della sua scomparsa, ma distrattamente. Stasera tu pubblichi una sua poesia, e mi fermo a leggerla. Ho conosciuto Bevilacqua dieci anni fa, quando è venuto a Senigallia in occasione del "Premio Senigallia Spiaggia di Velluto", curato dal mio saggio amico Domenico Pergolesi. Sono stato con l'autore della Califfa per buona parte della giornata, prima della cerimonia serale.
Ha voluto vedere, in macchina con me, le colline delle Marche e le onde dell'Adriatico dalla Torre di Scapezzano. Mi ha seguito nella passeggiata per il Corso di Senigallia, lungo i Portici, alla Rocca, sotto il tendone degli amici che in Piazza Roma avevano la loro annuale esposizione di funghi, e lui ascoltava attentissimo le mie tante e colorite storie, che poi erano una sola storia, quella di Senigallia. Ci siamo fermati poi a pranzo lungo la Strada della Marina.

Alberto Bevilacqua e Camillo Nardini, a SenigalliaAbbiamo discusso di poesia, di letteratura, di poeti latini e si è rattristato sulle condizioni dell'editoria in Italia, interessata solo a creare fenomeni letterari ma incurante dello stato di salute della letteratura; e mi ha, poi, singolarmente sorpreso, perché mi ha parlato a lungo di sua madre; di come la sentisse ancora vicina, lei da poco scomparsa, vigile custode delle sue giornate, premurosa madre non estinta ma vivente. Invisibile presenza.

Ti confesso, caro Direttore, che quelle sue meditazioni filiali sono restato perplesso, per quella certa atmosfera di misticismo esoterico che evocava, per quell'affetto che mi appariva eccessivo in un uomo che compiva settant'anni, per quel voler trovare in me l'occasione per parlare di lei. Ma ora, sfogliando come ogni giorno il tuo giornale, ho riletto i 26 versi che lo scrittore ha dedicato a sua madre. E ne ho ammirata la profondità. O se vuoi, contemplata l'altezza. Sono versi di pacata e rara delicatezza. È un dialogo di struggente e quieta nostalgia.

Ecco perché stasera, dopo aver letto il tuo articolo, e riletta la sua lirica, ti scrivo. Per ricordare Bevilacqua e per meditare, assieme a quei pochi che mi leggeranno, sull'insostituibile ruolo del poeta e sulla potenza formidabile della poesia, che aiuta noi tutti a ritrovare la nostra dimensione umana.
Sono andato a rileggermi i versi che altri poeti moderni - Ungaretti, Quasimodo, Montale, e anche D'Annunzio - hanno dedicato alle loro madri. Ma il canto del cuore di Bevilacqua è stato il solo a commuovermi. Riapro la plaquette, che sono andato a ricercare fra i libri sullo scaffale, e ne tiro fuori il cartoncino con la poesia di Bevilacqua stampata. In alto, con penna a inchiostro, è scritto – e lo avevo dimenticato – "A Camillo Nardini, mio suggestivo Virgilio, con grata e calda amicizia. Alberto Bevilacqua. 2004".

Giuseppe Ungaretti
E il cuore quando d'un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d'ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.


Eugenio Montale
Ora che il coro delle coturnici
ti blandisce dal sonno eterno, rotta
felice schiera in fuga verso i clivi
vendemmiati del Mesco, or che la lotta
dei viventi più infuria, se tu cedi
come un'ombra la spoglia
 (e non è un'ombra,
o gentile, non è ciò che tu credi)
chi ti proteggerà? La strada sgombra
non è una via, solo due mani, un volto,
quelle mani, quel volto, il gesto di una
vita che non è un'altra ma se stessa,
solo questo ti pone nell'esilio
folto d'anime e voci in cui tu vivi.
E la domanda che tu lasci è anch'essa
un gesto tuo, all'ombra delle croci.



Salvatore Quasimodo
 "Mater dolcissima, ora scendono le nebbie,
il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
gli alberi si gonfiano d'acqua, bruciano di neve;
[…]Ah, gentile morte,
non toccare l'orologio in cucina che batte sopra il muro
tutta la mia infanzia è passata sullo smalto
del suo quadrante, su quei fiori dipinti:
non toccare le mani, il cuore dei vecchi.
Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà,
morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dolcissima mater."


Gabriele D'Annunzio
Tu, madre, che da i tristi occhi preganti
mi vigilavi pallida ne 'l viso
e per l'onda felice de' miei canti
abbandonata rifiorivi a 'l riso;

tu che le angosce mie tumultuanti,
s'io ne 'l silenzio ti guardava fiso,
indovinavi, e le braccia tremanti
a 'l collo mi gettavi d'improvviso;

tu che per me in segreto avevi sparse
tante lacrime e ròsa lentamente
senza di me languivi di desío:

tu non questo credevi! Tu, con arse
le pupille, quel dí, ma pur fidente
ne 'l mio destino, mi gridasti addio.





da Camillo Nardini

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