Un criterio per costruire la città dell’eccellenza - l’esempio del fiume tra vasche di espansione e bacini artificiali
Senigallia può sfruttare considerevoli potenzialità palesi e nascoste per diventare città d’eccellenza per qualità di vita dei residenti e per il raggiungimento della leadership nel settore del turismo. E' una prerogativa che deve essere fatta propria ed elaborata attraverso un piano strategico in linea con i canoni innovativi di una moderna organizzazione urbana proiettata verso questi obiettivi.
C’è necessità di agili modifiche al piano regolatore con varianti specifiche che si adeguino a nuove esigenze che più non si conciliano con le vecchie prescrizioni; né ha senso pensare alla formulazione di un nuovo piano regolatore generale, strumento oggi superato, che non può più pretendere di definire, a priori e con schemi rigidi, scenari futuri imprevedibili e mutevoli; né in questo momento può risultare utile una nuova legge regionale di disciplina urbanistica per la difficoltà di individuare un filo conduttore convergente da una situazione di rinnovamento generale ancora effervescente e in evoluzione che non fa intravedere un assestamento definitivo.
Un periodo di sospensione per nuove leggi urbanistiche, in questo momento di crisi, non può che giovare, evitando di sovrapporre ulteriori paletti ai già tanti che ostacolano l’operatività delle poche imprese superstiti che hanno ancora forza e voglia di fare. Se vanno giustificate le regole garantiste verso terzi, non sono accettabili altre che cozzano con il buon senso e che andrebbero revisionate, come alcune di un regolamento edilizio che troppo spesso mortifica la qualità architettonica, eppure nulla si sta muovendo per la modifica delle stesse.
La rapidità decisionale del privato mal si sposa con la lentezza inaccettabile delle risposte della pubblica amministrazione che agisce da freno a uno sviluppo razionale e da qui si deve ripartire con un cambio di passo attraverso la velocizzazione e la semplificazione burocratica.
Ulteriore efficentamento della pianificazione dovrà venire dal privilegiare le idee rispetto alle norme che invece dovranno adeguarvisi in subordine, senza più imprigionarle. Cosi si dovrà e potrà costruire il piano strategico con versatilità e flessibilità inedite, prendendo magari spunti, dalle pochissime città che lo stanno sperimentando, con la condivisione e lo scambio di competenze, buone pratiche, know how e metodi nuovi di pianificazione, ma rivendicando un proprio impalcato organizzativo-gestionale, che sopperisce alla mancanza di una codifica standardizzata e che va ricercato e modulato in autonomia sulle caratteristiche intrinseche e peculiari di un territorio senza confini fissi e interattivo con il proprio esterno.
Questi piani, che non vanno confusi, perché diversi, da quelli strutturali già adottati come modelli alternativi del governo del territorio in altri comuni, potranno raggiungere obiettivi straordinari se si riuscirà a costruire un disegno indicativo della città futura, senza scadenza (termine che invece troppo spesso compare) che può continuamente venire corretto, integrato e aggiornato dal consiglio comunale ogni volta che vengono ravvisate soluzioni migliorative. Questo consentirà, in ogni momento di avere sempre a portata di mano un quadro istantaneo della combinazione ottimale di sviluppo urbano sostenibile con una visione globale in grado di guidare correttamente qualsiasi progetto operativo tenendo conto dei fattori di congruenza, sinergia e polifunzionalità, fino ad oggi disattesi con la conseguenza di opere realizzate fini a se stesse con assorbimento e sprechi di risorse non più accettabili.
Uno strumento continuamente aperto e flessibile, ma non prescrittivo e vincolante come questo, è comunque inattaccabile da eventuali scelte non in linea, poiché queste dovrebbero appartenere ad un’agenda urbana figlia dello stesso strumento e che, in ogni caso, andranno rendicontate e giustificate alla città, con una bocciatura se incompatibili e inadeguate e con l’approvazione se riconosciute valide e in quanto tali riconducibili al piano strategico con parziali correzioni e sostituzioni. Dovrà essere in ogni caso un piano partecipato dalla città per la città che parte dal basso in cui tutti possono essere attori protagonisti con il conferimento di idee, a partire dai semplici cittadini, ai professionisti fino ad arrivare ai portatori d’interesse che andranno ad aggiungere materia prima da lavorare a quella del programma amministrativo per ottenere un prodotto finito la cui qualità dipenderà dalla capacità di selezione e coordinamento degli artefici della trasformazione.
Lo stadio iniziale del progetto dovrà nascere proprio dalla raccolta delle idee e si potrebbe prendere a riferimento lo stesso sistema recentemente adottato da Ancona, convintamene orientata al piano strategico, con un interessante report sviluppato e documentato in una intera giornata, dove gli accreditati (circa 400 persone) hanno avuto modo di conferire suggerimenti e opinioni.
Per meglio capire l’utilità e la forza di questo piano ci può aiutare un esempio, rappresentativo del sistema, ma che, per praticità, circoscriveremo alle sole aste fluviali con una simulazione che mette a confronto l’azione realmente programmata a seguito dell’alluvione del maggio 2014 con le vasche di espansione finanziate per oltre 4.000.000 di euro con un’altra azione virtualmente ammissibile come emanazione da un ipotetico piano strategico. Nel secondo caso si sarebbe programmato un parco agrario con una interazione sinergica per una contestuale valorizzazione paesaggistica, economica e turistica, dove i singoli interventi assolvono contemporaneamente a più funzioni. La difesa idraulica è immaginata con la realizzazione di una serie di bacini artificiali fissi alloggiati in alcune anse fluviali e diffusi lungo i percorsi del misa e del nevola, dotati di varchi di immissione e di emissione e cinti da una nuova sponda di contenimento con una capacità idraulica complessiva di assorbimento superiore a quella delle vasche e una maggiore garanzia di’efficacia per stemperare e regimare meglio i picchi di piena, assicurando contestualmente un utile stoccaggio d’acqua per i periodi di siccità. Realizzando i nuovi bacini si stimolerebbero i proprietari delle aree consenzienti alla trasformazione a trarre nuovi e maggiori profitti da opportunità alternative come l’acquacoltura o start up turistico ricreative e ricettive legate ai nuovi specchi d’acqua.
Il raffronto tra le due azioni fa risaltare nel primo caso (vasche di espansione, NDR) un intervento fine a se stesso e che non si giustifica anche per il costo elevato in rapporto ai benefici prodotti meglio garantiti da altre soluzioni di costo molto più modesto e che oltretutto sminuisce la qualità ambientale del luogo e i valori immobiliari delle proprietà coinvolte nel progetto; nel secondo caso il sistema di dilatazione delle piene alternativo porta invece valore aggiunto al sistema fluviale come collante di una riqualificazione paesaggistica solidalmente coesa da un vantaggio di mutua reciprocità. Il finanziamento già stanziato per le vasche potrebbe essere invece dirottato, come contributo per le trasformazione condivise dei nuovi bacini, in quote parti proporzionali alle relative capacità di contenimento delle masse d’acqua.
La speranza è di arrivare quanto prima ad un concetto di pianificazione dinamica senza pause dove fino all’ultimo sarà possibile apportare al quadro generale migliorie, sinergie e lotta agli sprechi calando da esso, con altrettanta agilità e flessibilità, la progettazione operativa ed è questa in sintesi la struttura di un moderno piano strategico in grado di presentare al meglio il ventaglio completo delle opportunità per un territorio.
da Ing. Paolo Landi
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Scritto da Visitatore anonimo il 2015-11-16 03:05:46 | |