Lo scorso lunedì 15 febbraio accompagno mia sorella, disabile e in carrozzina, ad una visita odontoiatrica presso l’ambulatorio di Odontoiatria del nostro ospedale di Senigallia.
Per chi non lo sapesse, e io non lo sapevo, Odontoiatria si trova al primo piano di una palazzina separata dai corpi principali dell’ospedale, in uno di quegli stabili che tanti anni fa erano l’orfanotrofio di Senigallia, costruiti addirittura durante il ventennio fascista, con tanto di immagini del tempo ancora visibili.
Parcheggio e mi avvio all’accettazione, dove chiedo come poter salire con una persona in carrozzina.
L’operatrice che si presenta mi dice che non è possibile e che io dovevo essere informato dell’inconveniente.
Cerco di riprendermi dalla risposta, chiedo se è uno scherzo e domando di poter parlare con il primario.
Si presenta un medico, che dice di non saper cosa dire e fare.
Arriva il primario, un’altra dentista, altri operatori e alla fine tutto il personale. Nessuno sa cosa dire e cosa fare se non frasi di circostanza: “lei ha ragione, siamo dispiaciuti, sa quante volte abbiamo segnalato la cosa, ecc.”
Il primario mi dice che c’è un ascensore pronto da un anno e mezzo, ma fermo perché deve essere ancora collaudato.
Mi permetto di suggerire di chiamare un responsabile del personale, o di stabilimento, se esiste in un ente pubblico che sulla carta si vuole dire azienda, e passa un quarto d’ora solo per cercare di capire chi chiamare, perché non lo sapevano!
Quando alla fine provano a chiamare qualcuno, questo non risponde, tanto per confermare certi luoghi comuni.
Nel frattempo, da solo mi carico mia sorella e carrozzina e mi faccio tre rampe di scale, alla fine aiutato da altre due persone in attesa di visita.
Arrivato in cima mi prendo il rimprovero del primario che, siamo all’assurdo, mi dice di essermi fatto carico di un problema non mio.
Fatta la visita si presenta il problema della discesa al piano terra. Io vengo intimato di non fare nulla, e mi dicono di attendere che qualcuno arriverà a breve.
E in effetti poco dopo arriva un’ambulanza del 118 con medico e due paramedici, cioè un’unità di pronto soccorso che non può e non deve svolgere quella mansione.
Infatti il medico del 118 mi si avvicina e si raccomanda che si trovano li in via “ufficiosa” e “che sia chiaro, noi le facciamo il favore, ma se arriva un’emergenza non ci possiamo trattenere anche lasciando la persona per le scale”!
Imbragano mia sorella in una poltroncina che scivola a fatica sugli scalini e finalmente riusciamo ad uscire.
Sulla strada del ritorno ripenso a quello che è successo e a come poter fare per denunciare questo assurdo accaduto.
Come avrebbe fatto chiunque mi confronto con familiari e amici e decido di procedere civicamente e venerdì 19 febbraio mi reco alla locale sezione cittadina del Tribunale del Malato.
Il responsabile raccoglie la mia rimostranza e mi dice comunque di non farmi troppe illusioni: “lascia il tempo che trova, non serve a niente, c’è un muro di gomma”. Mi suggerisce anche di andare a parlare con il “Responsabile Ospedaliero”, che non mi riceve perché aveva altri impegni, ma alla quale faccio in tempo a segnalare il problema.
Mi risponde lungo il corridoio, con una temperatura da caldo africano (e venerdì 19/2 non ce ne era sicuramente bisogno), che non è vero che l’ascensore è pronto da un anno e mezzo, ma solo da un mese e che ora devono fare la gara d’appalto per il collaudo. Una gara d’appalto per il collaudo di un’ascensore!
E mi dice anche di rivolgere formale segnalazione all’Ufficio Relazioni con il Pubblico (URP). E il passaggio da un ufficio all’altro continua.
All’Urp, dentro un ufficio con trenta gradi centigradi, trovo una responsabile, che mi fa notare di essere anche avvocato, e un altro impiegato.
La dirigente, raccoglie la mia segnalazione e i miei rimbrotti, anche perché ormai ero abbastanza stanco del travaglio fin lì sostenuto, minacciando querele, ricordandomi un’altra volta di essere anche avvocato, oltre che dirigente ospedaliera con decenni di esperienza. Alla fine scrivo la mia segnalazione che viene protocollata in un altro ufficio/sauna.
Fin qui i fatti.
Certi momenti della propria vita sono facili da raccontare quando parlano di eventi felici, ma diventano difficili quando riguardano situazioni poco piacevoli.
E quando quelle situazioni ci coinvolgono anche civicamente, quando cioè hai a che fare con lo Stato e i suoi presidi sul territorio, e più specificatamente quando hai a che fare con la salute, se vuoi raccontare un’esperienza vissuta, bisogna stare molto attenti a come si scrive e come si parla, per evitare di urtare la “sensibilità” dell’istituzione pubblica e di chi ci lavora.
Mi astengo quindi da ogni personale commento, avendo già proceduto alla denuncia dell’episodio, ma voglio comunque rendere pubblico l’accaduto perché si deve sapere in che stato versa la sanità pubblica e, purtroppo, il nostro Ospedale.
Dico solamente che sono figlio di due ex dipendenti ospedalieri e ho vissuto, anche se indirettamente, la vita dell’ospedale, e i racconti di mia mamma sugli anni 60 e anni a seguire ripetono le stesse cose.
Le lottizzazioni politiche di una volta, che i senigalliesi ricordano molto bene, continuano ancora oggi, con intenti semplicemente distruttivi.
Con la salute, con il diritto alle cure non si scherza. Lascio a chi avrà voglia di leggere queste righe la proprie personali riflessioni.
da Sandro Sebastianelli
|
La sanità è davvero pubblica?????? Scritto da Visitatore anonimo il 2016-02-22 15:02:34 Almeno sua sorella è riuscita a fare la vista.....che per una persona come me ( non disabile e senza malattie tipo diabete , malattie di cuore) è impossibile....alla faccia della sanità PUBBLICA, devo per forza andare in privato....ma in che paese viviamo :-( | |