"C'è bisogno di positività, di contagiare gli altri, perché senza educazione alla comprensione reciproca riprodurremmo anche qui le ingiustizie che vediamo sulla scena globale"
Vivo da oltre 6 anni a Bruxelles, una città colorata di nazionalità, ricca di contrasti. Siamo stati drammaticamente testimoni ieri (martedì 22 marzo, Ndr) di quanto questi includano anche marginalità e bisogni di appartenenza non soddisfatti che necessitano di nuove articolate risposte.
Ero in ufficio a qualche centinaio di metri dall'esplosione nella metropolitana. Sono umano, ho bestemmiato alla notizia di ciò che stava accadendo: un atto criminale che sparge terrore. E ci riesce: la mente e il corpo si tendono, sono all'erta; ci vuole tempo per funzionare al meglio, per tutti. I soccorsi, le forze dell'ordine, chiunque possa aiutare e abbia posizioni di responsabilità nel contesto fa del proprio meglio, nei limiti delle sue capacità, sotto stress. Sentiamo tutti cose molto simili: il peso di ciò che è accaduto, e di quello che potrà accadere.
Non è un atto di guerra, grazie al cielo: non ci sono eserciti, coprifuochi, leggi marziali, bombardamenti... va chiesto a chi la guerra l'ha conosciuta: ai nonni, a chi ne è fuggito, per capire che la guerra è una cosa ben diversa. Ma può diventare un assedio, autoimposto: ci toglieremmo la possibilità di agire fuori dalle mura che noi stessi avremmo tirato su; senza educazione alla comprensione reciproca, senza empatia riprodurremmo su piccola scala le ingiustizie che vediamo sulla scena globale: soprusi, incomprensioni che sfociano in violenze psicologiche, mentali, fisiche, moltiplicate per ogni recinto che nel terrore saremmo pronti a costruire.
Ho amici che hanno esperienza di ciò che è accaduto a Parigi o a Istanbul o lavorano in zone di [quasi-]guerra in altri continenti; noi tutti conosciamo chi era in Italia negli anni di piombo e in fondo sappiamo che la soluzione non è mai una guerra ma una crescita condivisa. Cerchiamo di tirare fuori il meglio di noi, di ciò che ci rende umani: la capacità di imparare e di migliorare, la capacità di sperare e la forza che ci fanno muovere. Guardiamo negli occhi gli altri e sappiamo vedere che dietro appaiono le nostre stesse necessità: di sicurezza, di appartenenza, di possibilità di crescita. Appaiono in modo diverso in ognuno di noi, caratterizzati dalla propria storia, ma ci sono comuni.
Forti di questa consapevolezza e ricchi delle proprie diverse esperienze, abbiamo la possibilità e la responsabilità di affrontare assieme sfide che sono ancora più grandi, che non conoscono confini. E manteniamo la capacità di gioire contagiando gli altri, condividendo positività: ieri, una volta verificato che donare sangue non serviva perché c'è maggiore necessità di donazioni durante il resto dell'anno, mi sono circondato di amici, nella musica, senza invasione di spettacolo della tragedia.
Cosa faccio stasera? Vado a ballare, vado ad abbracciare: ce n'è bisogno :-)
Un abbraccio da Bruxelles,
U.R.|
Scritto da Visitatore anonimo il 2016-03-27 16:06:38 Bellissimo, lucido e sensato. | Viva il finto buonismo e l'ipocrisia!! Scritto da Visitatore anonimo il 2016-03-28 19:47:16 Complimenti, il finto buonismo e l'ipocrisia italiana sono arrivati fino il Belgio! Se è questo quello che pensa la invito caldamente a tornare nelle campagne senigalliesi, perché non ci ha capito NIENTE! Vorrei proprio sapere cosa avrebbe detto se avesse vissuto lei stesso gli attentati, o dei suoi familiari! Mi fa schifo pensare che ci sia gente come lei che difende luridi assassini, che vergogna... Ma (…omissis…) non è poi tanto superiore a quello dei terroristi... | Scritto da Visitatore anonimo il 2016-03-28 14:18:16 Ancora non avete capito è?? Bene andiamo avanti cosi, gessetti colorati, bandiere colorate e abbaracci contro fucili d'assalto, bombe. | Scritto da Visitatore anonimo il 2016-04-06 08:46:32 No, secondo me ha ragione. Una risposta fisica e violenta a questi attacchi è certamente necessaria, perché un crimine non dovrebbe mai rimanere impunito, ma diventa inutile ed anzi controproducente se non è accompagnata e preceduta da una risposta culturale come quella che chiede u.r. | |