Lo scorso primo agosto Senigallianotizie.it pubblicava un intervento a firma di Giorgio Mosci, un libraio antiquario di origini roncitellesi che vive e lavora a Roma, il quale manifestava dubbi sulla storicità della protesta che sarebbe avvenuta a Senigallia il 29 maggio 1857, quando parenti ed amici di Girolamo Simoncelli avrebbero esposto, di fronte a Pio IX che benediceva il popolo senigalliese dalle finestre del palazzo civico, uno striscione con la scritta 610, sei uno zero.
La memoria di questo episodio è tornata d'attualità questa estate in occasione delle manifestazioni promosse dagli ambienti mazziniani senigalliesi contro l'apposizione degli stemmi papali di Benedetto XIV e Pio IX nella nuova Piazza Garibaldi.
Il giorno successivo sullo stesso giornale il prof. Marco Severini, docente di Storia dell'Italia contemporanea all'Università di Macerata, stigmatizzava duramente l'intervento del Mosci e lo invitava a ben documentarsi su due testi di diverso orientamento che avrebbero, entrambi, confermato la veridicità dell'episodio: il primo la "Vita di Pio IX", tomo II di Alberto Poverari, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano, 1987 e il secondo, dello stesso Severini, "Girolamo Simoncelli, la storia e la memoria", Affinità elettive, Ancona 2008.
A ciò replicava il Mosci ribadendo, in un altro articolo del 7 agosto, che nel libro di Polverari si trova, in effetti, una citazione del fatto, ripresa, però, da un'altra pubblicazione la quale a sua volta non cita la fonte documentale.
Ritengo, pertanto, che coltivare il dubbio sulla veridicità storica dell'episodio in questione per il Mosci, come per chiunque altro, sia più che legittimo. Pur non essendo, io, uno storico, stimolato da questo vivace dibattito ed irretito dai tanti commenti piuttosto superficiali e generici indirizzati alle tesi del Mosci, ho voluto condurre una rapida ricognizione per cercare a mia volta di capire qualcosa di più su questa pagina di storia cittadina così lontana eppure ancora così lacerante.
Desidero, innanzitutto, esprimere a Giorgio Mosci il mio apprezzamento per le ragionevoli considerazioni e per il garbo usato nell'argomentarle.
Entrando nel merito della questione, voglio aggiungere che, come il libro del Polverari, anche il citato libro di Marco Severini, secondo il mio modesto punto di vista, non riporta inconfutabili prove documentali sulla manifestazione anti-Pio IX. Se ricordo bene, vi si citano due autori che, diversi anni dopo il fatto, avrebbero raccolto nelle loro opere voci (solo voci e nient'altro che voci) giunte alle loro orecchie da ambienti senigalliesi, definiti ben informati, ma non meglio identificati.
Dirò di più. La prova che la storia del lenzuolo con la scritta "610" sventolato in faccia a Pio IX sia di dubbia o addirittura di assoluta inattendibilità viene nientemeno che da un personaggio al di sopra di ogni sospetto: l'avvocato ed uomo politico repubblicano Augusto Bonopera. Il Bonopera recupera nel 1912 la memoria della dolorosa vicenda di Girolamo Simoncelli, ne sposa la causa e ne farà la bandiera per una virulenta campagna anticlericale.
Come gli appassionati di storia senigalliese sicuramente sanno, nel 1852 il tenente colonnello della Guardia Nazionale Girolamo Simoncelli, personaggio al centro di questa tormentata vicenda, fu ritenuto coinvolto, con altri, negli innumerevoli delitti perpetrati a Senigallia tra il 1848 e 1849: uccisioni e ferimenti attribuiti alla famigerata Compagnia degli Ammazzarelli. Un vero e proprio "gruppo di malfattori, che - come ricorda lo stesso Bonopera - s'intitolava da se stesso la Compagnia Infernale; il popolo impaurito e terrorizzato lo chiamava la Compagnia degli Ammazzarelli o la Squadraccia". Una parte dell'opinione pubblica ritenne da subito ingiusto il coinvolgimento del Simoncelli, seppure questi fosse preposto al mantenimento dell'ordine pubblico, e ne proclamò vigorosamente, ma inutilmente, l'innocenza. Egli fu processato, condannato e fucilato il 2 ottobre 1852. Subito si accese una violenta polemica sulla grazia richiesta a Pio IX e mai giunta.
Questi in sintesi gli antefatti. Ora è più che plausibile che l'interesse per la sorte della propria carriera politica non fosse estranea alla violenta campagna anticlericale che il Bonopera lanciò sull'onda emotiva che suscitava la tragica vicenda di Simoncelli, presentato al popolo come un martire dello Stato teocratico. Egli, deputato repubblicano uscente, si trovava, infatti, a dover fronteggiare nell'imminente campagna elettorale, un'inedita e agguerrita concorrenza costituita dalla sempre più forte organizzazione politico-sindacale dei cattolici. Questi, proprio di lì a poco, con il proprio candidato Giovanni Bertini, gli avrebbero soffiato il seggio parlamentare nelle prime elezioni a suffragio universale del 1913. Pertanto l'onorevole Bonopera, prima delle elezioni si dedicò per molti mesi ad un inteso ed approfondito lavoro di ricerca per provare l'innocenza di Simoncelli e nel contempo per screditare la figura di Pio IX ed i cattolici tutti.
Raccoglierà e pubblicherà nel 1912 il frutto delle sue ampie ricerche nel volume Sinigaglia nel 1848-49 e il processo di Girolamo Simoncelli (Cfr. Luana Montesi, Augusto Bonopera. La vita e l'impegno di un repubblicano, introduzione di Marco Severini, Edizioni di Pensiero e azione 2006). Tra i tanti documenti ivi raccolti, sono riportate anche le sentenze di condanna emesse al termine del processo che in realtà era intitolato "Senigallia, di più delitti".
Così Bonopera descrive nell'introduzione la portata del suo impegno di ricerca per riabilitare la figura del Simoncelli … mi posi alacremente all'opera, facendo accurate indagini negli archivi di Sinigaglia e di Ancona e in quelli di Pesaro (sotto la cui giurisdizione era allora Sinigaglia), del Comune, del Tribunale, della Prefettura e Metaurense per il quale ultimo ottenni dalla cortesia dell'amico e collega avv. Alessandro Rossi, presidente della Deputazione Provinciale, che fossero ordinate molte carte che si trovavano alla rinfusa. Volli poi rendermi conto di tutto ciò che avevano scritto in proposito gli scrittori e i giornali dell'epoca. (…) ebbi per interessamento dell'on. Luigi Facta, allora sottosegretario all'Interno, il permesso di esaminare il processo originale nell'Archivio di Stato, benché non fossero trascorsi i settant'anni dalla sentenza; e per sei mesi ho preso appunti ed ho trascritto documenti".
Da tutta questa mole di lavoro un episodio come quello del lenzuolo non emerge affatto, altrimenti il Bonopera non lo avrebbe di certo sottaciuto! Anzi, per ironia della sorte, è proprio il Bonopera che di fatto, senza volerlo, ne smentisce l'accadimento quando, sempre nella stessa pubblicazione, scrive che per molti anni "il ricordo pietoso del Simoncelli non veniva meno nell'animo dei cittadini" e aggiunge un aneddoto inconciliabile con quello del lenzuolo. Infatti così prosegue: "Si racconta anche (ma non siamo in grado di attestarne la verità) il seguente aneddoto. Quando, nel 1855 (in realtà 1857!), Pio IX fu a Sinigaglia, una specie di ponte era stato gettato tra il palazzo Mastai e il palazzo Civico, perché il Pontefice potesse direttamente passare dall'uno all'altro, e di qui, dalla finestra che dà sulla piazza, impartir la benedizione al popolo aspettante. Ma quando Pio IX si affacciò a quella finestra, la casa di fronte era parata a lutto! Era la casa di Girolamo Simoncelli!"
Ora, delle due l'una o addirittura delle due nessuna!
Auspico vivamente che ulteriori ricerche condotte con onestà intellettuale e rigore scientifiche, possano chiarire meglio i contorni di quanto accaduto in quei lontani e turbolenti anni. E che lo facciano senza che i giudizi di parte prevalgano sulla reale dinamica dei fatti: i fatti sono i fatti, la loro interpretazione è un'altra cosa. Perché, come scriveva uno dei più autorevoli studiosi di storiografia del ‘900 Henri- Irénée Marrou: "La storia si fa con i documenti e storici non ci si improvvisa perché bisogna imparare a conoscere l'esistenza, la natura, e le condizioni di utilizzazione delle diverse categorie di fonti storiche".
Tutto il resto, possiamo tranquillamente dire che è pura aneddotica o affabulazione. Niente di più.
da Sergio Fraboni |